Saluti da Cariglio
mi donò gioia
d’un semplice sguardo
e gli occhi io schiusi
d’innanzi un paradiso.
Ti avevo allora accanto
quando solcai quest’antica terra,
ove eterna lotta
si scatena tra il frate mare e la degna roccia
che al suo scolpir
d’artista si presta e mi omaggiava d’opere uniche.
Ti sento ora vicino
nell’assaporar l’intenso gusto
d’una tradizione
colma, orgogliosa e ricca,
frutto d’uno
spirito di uomini veri,
che ancora non hanno
scordato
il senso della vita
che gli donasti,
e che con ogni loro
consueto gesto rendon autentica.
Tu solo sei giunto
al fondo del mio forse vano cercar,
ed ora tra le povere
calle di questi già cari rustici borghi,
fai riecheggiar il
severo tono di risacca vicina,
e con lei piano mi
sussurri pace.
Qui non vi giaccion
tesori che possan attirar la meretrice lussuria,
ne si albeggia su
calienti notti dello squallido goder;
qui, caro Padre,
v’è soltanto
il regnar di un piccolo rosso scrigno,
che è il caldo
cuor di chi v’abita,
custodito gelosamente
dall’incanto del fiorir di quadri pittoreschi,
e scansato o fuggito
alla nordica superbia.
Stringo nel palmo
la tiepida sabbia,
e miro attorno l’orizzonte
per attender paziente
il quotidiano Tuo miracolo
d’un tramonto
sempre d’oro
ed il respiro poi
trattengo.
Sale leggera l’irridente
brezza
che mi riporta l’ardor
di una pazza tarantella,
mi conduce al profumo
intenso di sapori nostrani,
all’amor di
nuova famiglia
che m’ha reso
prima fratello e poi ospite.
Nel calar lento di
commosse lacrime,
Ti saluto Padre,
Ti saluto dalla novità d’un
rudere arenato,
Ti saluto da una
piazzetta
che stanca scava
il suo ambito spazio
per i soliti giochi
dei soliti ragazzetti.
Ti saluto dal vecchio
balcone di paterna dimora
che fiero s’erge
accanto alla Tua,
Ti saluto da Cariglio,
Padre,
suolo calabro al
quale l’amico Francesco condusse il corpo mio,
ed al quale ora temo
d’abbandonar l’anima.
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