Carlo il fabbro
Scompaiono
gli uomini
della mia fanciullezza
e con essi rumori
e voci di un tempo.
Da poco
è morto
l’ultimo contadino,
il cui passaggio
davanti all’uscio di casa,
con lo scalpiccio
degli zoccoli ferrati dell’asino
e il ritmato andare del ritorno
toc-toc-toc-toc
segnava l’inizio e il termine del giorno.
Oggi
è morto Carlo, il fabbro,
nton,nton,nton nton
il battere sul ferro,
echeggiante in tutto il paese,
era segno del fervere
delle opere del giorno,
un richiamo per i pigri.
Noi bimbi
giravamo
da una bottega all’altra:
falegname, sarto, calzolaio,
in tutte
c’era di che toccare, di che fare,
l’approccio giusto
per vivere insieme
e scegliere
il mestiere del domani.
Nessuno immaginava
che quelli sarebbero stati
gli ultimi voli di passerotti
attorno a nidi votati all’abbandono.
Così
sono rimasti
nei miei occhi
e nel mio cuore
i nomi e i gesti
degli ultimi patriarchi dei mestieri:
Carlo, il fabbro,
Peppe, il calzolaio,
Pasquale, il sarto,
Francesco, il falegname,
Salvatore, il mugnaio,
Antonio, il contadino.
Questa
è la mia ricchezza
ora fatta di suoni
e odori scomparsi:
dal fabbro,
andavamo per girare
la ruota del mantice,
gareggiando
a chi soffiasse
un fuoco più vivo,
per guardare
con sorpresa
la magia
del ferro arroventato
entro le braci di carbone
e nella vasca di pietra
piena d’acqua
veder calare
il ferro battuto
per la tempra,
e sentir friggere
l’acqua
intorno all’attrezzo
ancora rovente
e sprigionarsi
vapore intenso….
Nton nton nton,
proprio questa mattina ripensavo
al batter della forgia
che si spandeva
per le case del paese,
mentre, poco dopo,
rintoccava la campana
col rintocco che dal mondo
non scompare mai:
ndin, ndin, ndon; ndin, ndin, ndon…
Cariglio, lunedì 15/2/1999
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